La prima volta che ho pensato alla disuguaglianza di genere nella mia professione ero ad un congresso.
Sono un medico. Anche se credo che nessuno dei lettori ne sia all'oscuro, lo ricordo (mai snobbare gli eventuali fans disinteressati).
Credo di poter dire, anche senza numeri, che ad un livello meramente quantitativo, in medicina abbiamo raggiunto e superato gli uomini.
Fare il medico, anzi essere medico, non conviene più. Niente più stipendi stellari, molti più rischi legali e ci si spacca la schiena come o più di una volta.
Gli uomini hanno semplicemente spostato la propria attenzione verso qualcosa di più redditizio o comunque di meno faticoso. Così da qualche anno, la quota di studentesse che provano il test di ammissione è superiore al 50% del totale.
Cosa succede poi una volta entrate nel magico mondo della medicina lo lasciamo ad un futuro post. Lo riservo per un giorno in cui avrò rabbia da smaltire. Oggi sono alle prese con la statistica e preferisco parlare di meri numeri. Sono talmente eloquenti che potrò risparmiare la rabbia per un altro momento.
Dicevo, a livello numerico, la professione del medico è paritaria.
E la professione del ricercatore medico?
Molti medici che fanno ricerca, anzi quasi tutti, fanno anche attività clinica. Fare solo il ricercatore sarebbe infinitamente meno redditizio e, potendo contemporaneamente esercitare, si decide sempre per il piede in due scarpe e sono quasi certa che, come per tutto il resto, significhi fare tutto malissimo.
Chi sono i ricercatori medici?
Fino a qualche anno fa non lo sapevo. Poi ho cominciato a girare i congressi, prima da studente in cerca di gadget e poi da neo-professionista (se mi passate il termine), in cerca di vere informazioni, illuminazioni, idee.
Ho continuato a portarmi a casa solo gadget. E questo può far intuire che le grandi rivelazioni in medicina non hanno le proporzioni di ciò che si pubblica. Anzi, si pubblica di tutto. Vera e propria carta igienica. Ma anche per la speculazione sulla ricerca è meglio dedicare un intervento separato, rischierei di non finire mai più la mia pausa pranzo.
Ero al congresso, dicevo. Improvvisamente noto una cosa, uno sciocco particolare a cui, chissà come, non avevo mai prestato attenzione. I relatori erano solo uomini.
Cinque giorni di congresso e nemmeno una donna al microfono. Eppure di donne in platea ce n'erano.
Sono tornata a casa confusa.
Con il passare degli anni e dei congressi ho capito che, non solo erano sempre uomini a presentare fantasmagorici lavori per la maggior parte inutili, ma erano anche sempre gli stessi. E questo è un problema italiano (e non solo) che si chiama baronato, e pure questo andrebbe analizzato in altra sede.
Torniamo al fatto che c'erano soltanto maschi a parlare, non sempre bene, di scienza.
Al tempo in cui mi resi conto della discrepanza, ingenuamente, pensavo che la ricerca fosse un mondo fatato, giusto, equo e pieno di gente che passava le notti al microscopio o ad osservare il comportamento dei topi per amore dell'unica grande e provvida Mamma Scienza.
Invece è un mondo oscuro, ingiusto, assolutamente iniquo e pieno di gente che passa le serate a sbafarsi aragosta al ristorante a spese di qualche casa farmaceutica o, quando va peggio, dei contribuenti.
Quando facevo notare ai miei colleghi (maschi per lo più, ma anche parecchie femmine) che c'erano solo uomini a fare i relatori ai congressi, facevano spallucce.
"Saranno più bravi!" era la risposta. Io strabuzzavo gli occhi "Ma non c'è alcuna evidenza scientifica che sia così!". Chiunque liquidi la questione della disparità di genere con un "gli uomini sono probabilmente meglio a fare questo e quello", sappia che verrà sempre e intensamente spernacchiato dalla sottoscritta. Che diavolo di risposta è?
Sarebbe come dire questo: prendo due gruppi di pazienti, a uno do la medicina e all'altro no. Il gruppo che prende la medicina muore meno. "Probabilmente sarà perché gli altri avevano più voglia di morire!". Ecco, pensare che la questione di genere sia la conseguenza di una differenza di capacità ha esattamente la stessa evidenza scientifica del mio esempio.
Ma dovevo parlare di numeri.
Nel 2013 alcuni importanti articoli sull'ineguaglianza di genere nella ricerca scientifica sono comparsi su riviste di settore in tutto il mondo. Merito, forse, dell'ondata di femminismo che (con buona pace di tutti quanti) sta attraversando il mondo intero.
La più autorevole pubblicata da Nature (per chi non fosse del settore: una delle due riviste scientifiche più influenti al mondo). Nature ha pubblicato a riguardo un numero speciale chiamato: Woman in Science. Cercatevelo, è assolutamente alla portata di tutti i backround culturali.
I numeri di Nature sono eloquenti.
Innanzitutto le donne studiano. E questo è un fatto. Andiamo a scuola quanto i nostri compagni maschi. Ci laureiamo in uguale proporzione e in alcune aree di ricerca in particolare ci dottoriamo con la stessa frequenza. Una significativa differenza c'è solo in alcune facoltà ancora appannaggio degli uomini: ingegneria, fisica, astronomia.
Cosa succede dopo? Dopo ci spegniamo. Da qualche parte tra il dottorato e un impiego postdoc o un'assunzione come professore.
Le donne che provano una carriera accademica sono meno di un quarto degli uomini e meno del 15% per ingenerai e astronomia.
Le donne che la ottengono sono meno di un terzo di quelle che ci provano. Fatevi voi i vostri conti.
La ragione sembra in qualche modo legata alla famiglia. La stramaledetta famiglia tradizionale, in cui è la donna che rinuncia al proprio lavoro. Quella famiglia che in molti difendono a spada tratta. Proprio lei.
Le donne con figli mollano prima il lavoro nella ricerca e lo fanno con una frequenza proporzionale al numero dei figli. Gli uomini invece si riproducono senza che questo, apparentemente, abbia il benché minimo impatto sul lavoro. (Gli uomini che mollano sono il 20% del totale, che abbiamo o no figli il risultato non cambia; per le donne con i figli la percentuale arriva a più del 40%)
Eppure non è tutto qui, perché anche le donne senza figli e marito emergono come penalizzate.
Mi hanno impressionato le parole di Hanna Valentine, ricercatrice della Stanford University, "una delle cause degli abbandoni della carriera accademica da parte delle donne è che non trovano in questo mondo niente che somigli loro". Vale a dire altre donne. E sole è difficile andare avanti. Così molliamo, lasciando sola qualche altra che mollerà e via così.
Solo il 34% delle assunzioni per un primo lavoro come postdoc è femminile.
Un'interessante ricerca di Jo Handelsman ha dato qualche grattacapo ai vertici delle università americane. A 27 professori (maschi e femmine) venivano sottoposti due curriculum falsi di due aspiranti postdoc con le stesse identiche caratteristiche. Uno maschio e una femmina. Alla fine della valutazione la maggior parte dei professori si diceva interessato all'assunzione di John ma non di Jennifer e le poche volte in cui anche Jennifer veniva virtualmente assunta prendeva 3000 dollari in meno di John all'anno.
Questo è solo un assaggio. Non è nemmeno l'aperitivo. E' la tartina che rubate di nascosto dal vassoio quando vostra madre non sta guardando.
C'è una valanga di roba da leggere al riguardo. Altri mille e mille numeri.
E la cosa divertente è che nessuno si è preso la briga di analizzare i numeri della ricerca medica. Si parla sempre di biologia, ecologia, ingegneria, astronomia. I medici donna non si sono voluti sporcare il camice rovistando nel cesto della spazzatura. Eppure sono convinta che troveremmo dati ancora peggiori, un baratro di disuguaglianza.
Parlo alle mie colleghe! Dovremo farlo, sporcarci il camice dico. Sarà necessario. Quindi state pronte!
Lo so che i numeri sono deprimenti. Poco fantasiosi, a volte possono sembrare addirittura vuoti di significato.
Ma sono l'unico modo di tappare la bocca a chi dice che "magari gli uomini sono più bravi!"
Appena ho un po' di tempo in più vi prometto una bibliografia completa sull'argomento.
Perché c'è da fare un gran lavoro.
Ne volete sentire una bella?
Sono stata a un congresso anche in Svezia, la settimana scorsa.
Indovinate quante donne c'erano a parlare di scienza.
Neanche una.
Mi auguro vi stiate già rimboccando le maniche.
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