Non sono sempre stata femminista. Quando ero piccola non lo ero affatto. Anzi, volevo essere un maschio. E volevo fare un lavoro da maschio.
Quando a otto anni ho detto a mia madre, che ha fatto spallucce, che volevo fare il dottore, non mi immaginavo in uno studio tirato a lucido con una gonna e una camicia di seta sotto il camice stirato di fresco. Nossignore! Mi immaginavo in prima linea, in un ospedale da campo, con una cartucciera di siringhe e un bisturi tra i denti. La soldato Jane di tutti i dottori!
Il perché volessi essere un maschio è presto spiegato. Perché essere un maschio era più divertente. Niente vestiti scomodi, giochi più fichi, il privilegio di fare la pipì in piedi, la possibilità di fare la gara di rutti e nessuna mestruazione in arrivo. Quando le tue ovaie decidono di attivarsi a dieci anni, vorresti essere tutto tranne che una femmina. Piuttosto un cane o uno scimpanzé.
E poi i maschi adulti mi sembravano potenti. Non ho avuto un papà in giacca e cravatta, ma la sua tuta da meccanico mi sembrava comunque più interessante dei vestiti comuni di mia madre.
Mio padre e mio nonno mi sembravano quelli che prendevano tutte le decisioni in famiglia (ho dovuto crescere un po' per capire quanto non fosse vero!) e io volevo prendere decisioni.
Tutto nel mondo mi portava a desiderare di essere come loro e ci ho provato, per almeno una ventina d'anni. Ho avuto molti più amici maschi che femmine, per tutta la mia adolescenza. Suonavo con un gruppo di maschi. Bevevo come un maschio e mi piaceva che i miei amici me lo facessero notare (una terribile gara di resistenza che mi è costata una gastrite).
Quando ho iniziato ad accorgermi che mi piacevano i maschi le cose sono molto cambiate.
E non è stato allora che sono diventata femminista. Al contrario, sono caduta dentro a tutti i miseri cliché di questo mondo. Sono stata ossessionata dal mio corpo, a dieta per una buona parte dei miei anni migliori, in una continua altalena pericolosa tra l'essere originale e l'essere la copia di qualcosa che mi veniva proposto come perfetto.
Quando dormivo con qualcuno non mi struccavo, per paura di non essere bella a sufficienza. Pensavo, a volte, che un paio di jeans potessero farmi diventare qualcuno e risparmiavo i soldi per comprarmeli invece di spenderli per divertirmi davvero.
Volevo che gli uomini mi notassero. Lo so, lo so, che è tutto normale. Che non si tratta che di crescita e ormoni impazziti. Ma tutte queste ossessioni e manie hanno scavato talmente a fondo che ancora oggi mi faccio l'autoanalisi. Sto ancora imparando ad amarmi per quella che sono e a ignorare la propaganda dell'impossibile.
La prima volta che ho capito che volevo essere femminista è stato in un bar. Una mia amica mi aveva invitato per un tè tra donne. Era una specie di esperimento sociale, una chiacchierata per confessarsi tra sconosciute le ossessioni che riguardavano il corpo. Mi sono accorta che nemmeno una delle ragazze lì presenti era felice dell'immagine che lo specchio rifletteva, e tutte raccontavano storie di scherno e vergogna, di discriminazione. Battute stupide sul loro peso. Risate per il loro modo di vestire. Giochi di parole sul seno che non c'è. Una dopo l'altra quelle sconosciute mi hanno aperto gli occhi sul fatto che questa riunione i maschi non l'avrebbero potuta fare. Mai.
Allora ho capito che volevo essere una femmina. Sono tornata a casa più felice, senza capire bene il perché. E qualcosa si è acceso. Improvvisamente sono stata capace di vedere in un'ottica nuova, tutto quello che non andava. Mi sono tolta un velo dagli occhi e ho iniziato a notare tutto, e tutto di colpo.
E' stato come essere catapultata su un altro pianeta. Un pianeta pieno di cose da sistemare. Fino al giorno prima mi sembrava che andasse bene, combattevo per i diritti degli altri casomai, perché io, i diritti, li avevo già tutti. E fu come avere una torcia in mano, un immenso faro nella notte.
Quelle donne che bevevano il tè mi hanno fatto diventare femminista e non le ringrazierò mai abbastanza per questo. E non ringrazierò mai abbastanza la mia amica che ha fatto diventare queste confessioni una mostra interattiva che spiega a tutti il dolore che c'è dietro un certo tipo di violenza concessa e permessa.
Questa piccola cronistoria è per dire che non si nasce qualcosa, lo si diventa col tempo e con fatica. Come si fa con ogni conquista, ogni giorno bagno la mia piccola piantina femminista, il che significa anche bagnarla di rabbia per tutto ciò che vedo, leggo e sento (povere le mie orecchie!). Questo è per spiegare perché mi sono messa a scrivere di donne a ventotto anni e non a diciotto. E per dire anche che sento che all'ONU per i diritti delle donne ci dovrebbe essere una donna con i controcazzi e controcoglioni (scusate il francese), una che si è fatta un mazzo a studiare e informarsi e si è battuta per la causa, invece che Emma Watson. Una che avrebbe saputo cosa dire ai troll di internet che la minacciavano di morte.
E questo per dire anche viva Emma Watson, se continuerà il suo percorso e terrà fede a tutte le sue promesse. Viva lei e tutte le altre perché c'è un immenso bisogno di loro e non perché sono superstar, ma perchè sono donne.
Femministe non si nasce!
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