E' l'ultimo giorno di novembre.
Il mese più difficile. Così mi avevano detto tutti, spaventandomi a morte.
Novembre non è soltanto un mese noioso, dicevano, è il mese più buio dell'anno.
Sentivo stringersi un nodo alla gola ogni volta che qualcuno accennava alle difficoltà e soprattutto alla scarsità di eventi, di qualunque genere.
Sono sopravvissuta. E non ad un mese di novembre qualunque...ma al novembre più buio a memoria d'uomo. Quest'anno niente neve e appena due ore di sole in 30 giorni.
Ci sono state giornate così grigie da poter essere scambiate tranquillamente per notti o crepuscoli senza fine.
Ma ci siamo. Domani è dicembre. La follia natalizia ha preso piede e la luce è arrivata, anche se da un abete addobbato. Ci accontenteremo.
Fuochi d'artificio alle 4 di pomeriggio per dirsi che: abbiamo scollinato!
Ero lì che cercavo un quadratino di prato ghiacciato da dove guardare lo spettacolo e vedo un mio collega che mi saluta da lontano (lo chiameremo Luigi...anche se è brasiliano!).
Luigi è un simpatico ricercatore con due dottorati, un genio sempre al lavoro. Luigi ha una moglie. Stop.
Poco dopo incontro Mario (non si chiama veramente Mario, anche perché è cileno, ma lo chiameremo così).
Mario è un studente PhD con una marea di pubblicazioni alle spalle, è brillante e un po' punk (ci piace dire che noi "fottiamo" il sistema, a volte).
Mario ha una moglie. Stop.
Anche il mio capo con le stelline sui calzini ha una moglie. Siamo andati a cena da lui una sera di ottobre. La moglie, che chiameremo Lena perché è il suo nome, ci ha offerto della zuppa di funghi colti da lei stessa nella foresta quella mattina, e un salmone che è stato senz'altro il più buono mai mangiato in vita mia.
La moglie di Luigi, la moglie di Mario e Lena hanno una cosa in comune.
Sono sposate con la scienza. La scienza, anche se è donna di nome, ha un sacco di mogli e pochissimi mariti (o magari nemmeno uno).
Durante un pranzo in laboratorio assisto alla seguente telefonata (al telefono, la moglie di Mario).
-Sì amore, come sono? Ah, le volevo marroni a dire il vero. Sì, sì. Che numero? Ma ti sembrano abbastanza calde. Sì, amore. Lo so. No guarda, nere no. Non comprarle.
Mario attacca e dice: era mia moglie, mi sta comprando le scarpe per l'inverno.
Lei??? La mia reazione è: occhi fuori dalle orbite, mandibola slogata e un timbro acutissimo che fa tremare i vetri del laboratorio.
Mario prosegue: io non compro mai niente da solo, va sempre mia moglie.
Cos'è, ti hanno tagliato le mani? La mia acidità permea la stanza.
Le ho incontrate tutte queste mogli, prese e portate a vivere al Polo Nord per seguire le carriere accademiche dei mariti. Comprano scarpe per gli altri, vestiti per gli altri, raccolgono funghi, fanno figli.
Le ho incontrate e non sono riuscita a parlare con loro. C'è un muro. Chiedi loro come stanno e la conversazione muore nel giro di trenta secondi. Non ci provano più a dire che oggi di bello hanno fatto la spesa, che hanno portato il bambino al parco, che hanno aggiustato due lampadine.
Restano lì, sedute composte ad interminabili cene in cui si parla, quando va bene, del prossimo congresso e, quando va male, di compliance polmonare.
Una vita al fianco. Della scienza. Incarnata nei loro mariti. Bravi scienziati, bravi uomini anche, ma a volte pessimi mariti.
Luigi rimane in laboratorio tutte le sere fino a tardi, a volte fino alle due di notte. E sua moglie dorme da sola, sempre.
Mario la domenica va in bicicletta con dei colleghi. E sua moglie sta a casa, come tutti i giorni della settimana. Perché ci sono tre bambine con lei.
Il mio capo con le stelline sui calzini, a settant'anni suonati, non vuole andare in pensione, perché il fuoco della scienza arde ancora dentro di lui. E' uno dei più grandi...su questo non c'è da obiettare.
E Lena non l'ha con sé nemmeno ora. Piuttosto che vederlo depresso, l'ha lasciato fare.
Qualcuno si è mai interrogato sulle aspirazioni di queste donne? Loro stesse lo hanno mai fatto?
La scienza non esisterebbe se non ci fossero stati vestiti puliti da mettere la mattina, cravatte abbinate alle giacche per i congressi, bambini lavati cambiati mangiati e portati all'asilo, panini di mezzanotte quando ci sono gli articoli da scrivere entro il giorno dopo e case pulite ad ospitare le cene coi colleghi. La scienza sarebbe per lo meno stata molto più sciatta, stanca e acciaccata senza qualcuno che fa comparire in tavola pane e companatico ogni giorno, che si ricorda di pagare le bollette e prenotare la casa al mare.
Qualche moglie a volte divorzia. Anche dalla scienza.
Ci sarebbe un terzo collega. Lo chiameremo Asdrubale (perché è un nome che fa ridere). Asdrubale è professore universitario qui a Uppsala. Un uomo discreto e divertente, un po' pungente a volte, e preparatissimo.
Come gli altri, pensava di poter prendere sua moglie (prelevandola dal sole di Madrid), piazzarla in mezzo al ghiaccio e continuare la propria carriera senza farsi troppe domande esistenziali.
Dopo un anno, la moglie di Asdrubale ha detto: io ci ho provato, qui fa schifo! Torno a Madrid! Tu fai quello che vuoi!
Ora Asdrubale si fa due settimane qui e due settimane a Madrid, in continuo peregrinare.
Dovrei fargli una foto, ad Asdrubale. Le occhiaie stanno letteralmente sostituendo l'intero volto e quei calzini spaiati...un vero disastro. Asdrubale è perennemente in ritardo (in posto dove il ritardo non è nemmeno contemplato nelle possibilità presenti nell'universomondo) e sbadiglia così tanto da far venire voglia di porgergli un cuscino.
E fate conto che Asdrubale mi sembra comunque quello più pratico e indipendente del laboratorio. Pensate cosa accadrebbe alla scienza se tutte le moglie divorziassero??
Altro che premi Nobel. Sarebbe un gran casino.
Ho realizzato che queste donne non hanno la minima idea di quanto la scienza deve loro. Abbandonate 24 ore con esseri che vanno all'asilo e che ad un certo punto iniziano a parlare lo svedese come prima lingua. In un posto dove fare amicizia è difficile anche quando lavori e non hai figli, figuriamoci così. Dopo un giorno intero tra pannolini sporchi e supermercati, non vorreste saltare alla giugulare di uno che vi racconta che ha scoperto che la ventilazione polmonare provoca una infiammazione più importante nelle zone medie e apicali e probabilmente è tutta colpa dello stiramento dovuto alle pressioni?? Lo vorrei uccidere pure io, che trovo la scoperta affascinante!
Non lo sanno, di essere la base su cui poggia tutto. Ma prima o poi glielo dico.
"Mi accorsi che dovevo andare a Nord; così, senza pensarci troppo, mi misi a camminare"... Schegge di un cervello e un corpo e un cuore (di femmina) in fuga.
domenica 30 novembre 2014
venerdì 14 novembre 2014
Per iniziare bene la giornata: back to reality
Adesso vi dimostro che qualcuno legge veramente la roba che scrivo!
Una mia amica (che rimarrà nell'anonimato) legge il post di ieri sul curriculum finlandese e mi scrive così:
Il finlandese ha quattro figli. Lo mette sul curriculum.
Per fortuna che qualcuno mi costringe a vedere le cose da un altro punto di vista.
Avevo pensato fosse bello che uomini e donne sui curricula scrivessero le stesse cose. "Ciao sono una donna, ho tre figli e mi piace coltivare le verdure indoor." "Ciao sono un uomo, ho due figli e vado a pesca nel ghiaccio tutte le domeniche da novembre ad aprile."
Insomma, che ci fosse una parità, apparente o meno, da quel punto di vista.
E credo ancora sia comunque una cosa da tenere in considerazione.
Ripeto che in Italia gli uomini non sentono il bisogno di specificare il proprio stato di famiglia e non gli viene richiesto, le donne invece sì e molte volte sono obbligate a dichiararlo prima dell'assunzione.
Però quello che la mia anonima amica mi scrive è una versione interessante della storia.
Non mi ero posta il problema. Per un semplice motivo. Ero convinta che un paese che non ha nemmeno la distinzione tra maschile e femminile nella lingua, non l'avesse nemmeno in ambito lavorativo.
Ma come potevo esserne sicura?
Facile. C'è un'attività che si chiama "spionaggio informatico" e che con i tutti i social network che abbiamo è diventata accessibile anche a una ignorante tecnologica come me.
Non me ne vanto, ma per il bene della causa ho fatto questo: individuato la moglie (finlandese pure lei), cercato informazioni sui siti specializzati (varie ed eventuali piattaforme professionali) e speculato sull'età dei figli attraverso fotografie spiattellate ovunque.
(Io l'ho detto che i social ci uccideranno tutti! Pensate quello che può fare qualcuno che davvero sa usare il computer!)
Ecco il risultato della ricerca.
La moglie è una bellissima donna. E' un medico, intensivista. I figli li ha fatti uno dietro l'altro manco fosse una competizione con premio finale. Bellini pure i figli. Ha fatto ricerca all'Università finlandese. Ci sono sue pubblicazioni per altro molto interessanti.
Ma...data dell'ultima pubblicazione: 2005. Da quel momento sparizione totale dalla faccia del mondo scientifico. Da lì in poi fotografie con i bimbi in braccio.
IL finlandese è diventato professore all'Università di Uppsala, LA finlandese è diventata casalinga.
Era pure campionessa di Takwon-do fino al 2004.
Ok, cara amica mia anonima, scusami per l'eccesso di ottimismo. Ho esagerato. Cercavo il mio raggio di sole giornaliero.
Posso dire che stamattina alle 8 ho visto ben due papà che pedalavano scarrozzandosi in giro i marmocchi? Mi sono immaginata che le mamme fossero a una riunione con i delegati giapponesi dell'azienda partner per discutere la fusione e che fossero uscite presto senza neanche preparare la colazione. Dici che ho fatto male?
Una mia amica (che rimarrà nell'anonimato) legge il post di ieri sul curriculum finlandese e mi scrive così:
Il finlandese ha quattro figli. Lo mette sul curriculum.
Uuuuuu, che bravo ! Bello, un uomo che ama il suo lavoro e che ci dice che ha anche la gioia di ben quattro figli.
Ma chi cacchio glieli tiene quattro figli?
Dove li piazza la mattina?
Chi li porta in piscina alle cinque?
Chi ha interrotto la carriera quattro volte per farli ?
Ok, la Finlandia è un altro pianeta ( anche se poi, come tu mi accenni dalla Svezia, tutto il mondo è paese).
Ma CI MANCA SOLO che qui in italia gli uomini mettano la situazione familare sul CV.
"Sposato, due figli". Ma che carrrrino, fedele e con dei bei bambini.
Per lui è pure una nota di merito.
Avevo pensato fosse bello che uomini e donne sui curricula scrivessero le stesse cose. "Ciao sono una donna, ho tre figli e mi piace coltivare le verdure indoor." "Ciao sono un uomo, ho due figli e vado a pesca nel ghiaccio tutte le domeniche da novembre ad aprile."
Insomma, che ci fosse una parità, apparente o meno, da quel punto di vista.
E credo ancora sia comunque una cosa da tenere in considerazione.
Ripeto che in Italia gli uomini non sentono il bisogno di specificare il proprio stato di famiglia e non gli viene richiesto, le donne invece sì e molte volte sono obbligate a dichiararlo prima dell'assunzione.
Però quello che la mia anonima amica mi scrive è una versione interessante della storia.
Non mi ero posta il problema. Per un semplice motivo. Ero convinta che un paese che non ha nemmeno la distinzione tra maschile e femminile nella lingua, non l'avesse nemmeno in ambito lavorativo.
Ma come potevo esserne sicura?
Facile. C'è un'attività che si chiama "spionaggio informatico" e che con i tutti i social network che abbiamo è diventata accessibile anche a una ignorante tecnologica come me.
Non me ne vanto, ma per il bene della causa ho fatto questo: individuato la moglie (finlandese pure lei), cercato informazioni sui siti specializzati (varie ed eventuali piattaforme professionali) e speculato sull'età dei figli attraverso fotografie spiattellate ovunque.
(Io l'ho detto che i social ci uccideranno tutti! Pensate quello che può fare qualcuno che davvero sa usare il computer!)
Ecco il risultato della ricerca.
La moglie è una bellissima donna. E' un medico, intensivista. I figli li ha fatti uno dietro l'altro manco fosse una competizione con premio finale. Bellini pure i figli. Ha fatto ricerca all'Università finlandese. Ci sono sue pubblicazioni per altro molto interessanti.
Ma...data dell'ultima pubblicazione: 2005. Da quel momento sparizione totale dalla faccia del mondo scientifico. Da lì in poi fotografie con i bimbi in braccio.
IL finlandese è diventato professore all'Università di Uppsala, LA finlandese è diventata casalinga.
Era pure campionessa di Takwon-do fino al 2004.
Ok, cara amica mia anonima, scusami per l'eccesso di ottimismo. Ho esagerato. Cercavo il mio raggio di sole giornaliero.
Posso dire che stamattina alle 8 ho visto ben due papà che pedalavano scarrozzandosi in giro i marmocchi? Mi sono immaginata che le mamme fossero a una riunione con i delegati giapponesi dell'azienda partner per discutere la fusione e che fossero uscite presto senza neanche preparare la colazione. Dici che ho fatto male?
giovedì 13 novembre 2014
Per cominciare bene la giornata: rabbia e speranza a colazione
C'è bisogno di energia. La mattina.
Sopratutto quando le ore di luce diventano cinque e mezzo su ventiquattro e ci si sente sempre un po' assonnati.
Mentre facevo la mia colazione da ottomila calorie pensavo a una cosa che mi aveva detto una mia amica. La mia amica è un medico.
Parlava del suo capo, che è un uomo, ovviamente.
Durante un giro visite il capo le dice testuali (o più o meno testuali) parole: "La medicina sta perdendo tutto il suo prestigio! Ormai non si tratta ché di lavoro d'ufficio. Infatti ci sono più donne che uomini che esercitano la professione. Voi siete brave, col lavoro d'ufficio."
Ogni volta che ci penso, una rabbia cieca mi pervade, che rischio di polverizzare quello che ho tra le mani come Wonder Woman. E stamattina avrei mandato in pezzi il mio latte d'avena con il muesli alla frutta (immaginate un frutto...nel mio muesli c'è!).
Ringrazio il capo della mia amica (esimio professore di un'università e di un ospedale che non si possono dire) per aver dato il giusto sprint alla mia giornata e avermi fatto pedalare fino al laboratorio senza neanche appoggiare il culo sulla sella.
La cosa che mi interesserebbe approfondire con questo povero vecchio accademico senza una vita sociale è la seguente: la medicina ha perso il suo prestigio e quindi è diventata accessibile alle donne, o le donne hanno rovinato la medicina in modo irreparabile? Siamo causa o conseguenza?
Immagino, conoscendo la tipologia di soggetto come le mie tasche, che nella sua personale visione noi povere segretarie siamo la conseguenza. Farci diventare la causa vorrebbe dire ammettere una certa capacità di azione da parte nostra (la cosa che più spaventa al mondo...l'azione).
Ogni tanto mi viene l'idea di andare sul letto di morte di tutti questi baluardi della scienza e sussurrargli all'orecchio "al tuo posto adesso c'è una donna", per vederli morire arrabbiati quanto sono stata arrabbiata io in questi anni.
Ma la vendetta non è l'obiettivo (me lo ripeto in modalità mantra per eliminare dalla mia fantasia le fiale di Guttalax nel caffè, le gomme della macchina tagliate o le uova spalmate sul parabrezza del motorino).
Per raddrizzare la giornata senza ridurre l'energia ci vuole qualcosa di buono, la visione anche solo di un piccolo passo per uscire dall'oscurità (in tutti i sensi, lasciatemelo dire).
E allora, appena arrivo al lavoro cerco il curriculum di un professore che si è detto interessato a una collaborazione. Pareva sincero nel propormi di fare quattro chiacchiere sul glicocalice (io non ho mai fatto quattro chiacchiere sul glicocalice con nessuno...forse solo perché nessuno me l'ha mai proposto).
Nel curriculum di questo finlandese dall'accento inglese un po' indecifrabile (immaginatevi che bei misunderstanding tra recettori, cellule e mediatori) c'è scritto che è un maschio e che ha quattro figli.
Solo nei curricula delle donne avevo visto dichiarato il numero di figli, prima. E non era certo per vantarsene. Era per mettere le mani avanti. Qualcuna dichiarava pure di avere dei genitori pronti a fare i nonni a tempo pieno; tanto per mettere nero su bianco che i figli non sarebbero stati un impedimento allo svolgimento del lavoro (e non stiamo parlando del posto fisso alla NASA per progettare missili da mandare su un pianeta dal nome sconosciuto).
Vedere che il signor Finlandese ha scritto che ha 4 figli mi è sembrato bello. Paritario. E mi è anche sembrato che il fatto di averne così tanti fosse per lui un vanto, non un handicap. Come a voler dichiarare di essere una persona realizzata anche fuori dall'ospedale.
Ha pure scritto di essere un maschio. Questo è peculiare.
Avrei due motivi da proporre come soluzione del rebus.
1. I nomi finlandesi non si capisce se sono maschili o femminili (lui si chiama Jyrki!!!).
2. Il finlandese è una lingua senza genere.
Non esiste lui e lei, bello o bella. Diciamo che in finlandese è tutto BELLUM (corrispettivo latino del neutro???), non importa se abbia le ovaie o i testicoli.
Ci sarà un motivo allora se la Finlandia è molto più avanti della Svezia nel percorso verso la parità di genere? Sarà perché nessuno si interessa di sapere se sei maschio o femmina quando si parla di te?
Intanto io aggiungo al mio curriculum che sono femmina (mica che non l'avessero capito!).
Vi rimando ad un sito molto molto bello...
Si parla di parità e lavoro e chi lo scrive ha molto talento ed esperienza.
Keep sharing ideas!
http://laboratoriodonnae.wordpress.com/2014/08/31/racconti-di-unaziendalista-femminista/
Sopratutto quando le ore di luce diventano cinque e mezzo su ventiquattro e ci si sente sempre un po' assonnati.
Mentre facevo la mia colazione da ottomila calorie pensavo a una cosa che mi aveva detto una mia amica. La mia amica è un medico.
Parlava del suo capo, che è un uomo, ovviamente.
Durante un giro visite il capo le dice testuali (o più o meno testuali) parole: "La medicina sta perdendo tutto il suo prestigio! Ormai non si tratta ché di lavoro d'ufficio. Infatti ci sono più donne che uomini che esercitano la professione. Voi siete brave, col lavoro d'ufficio."
Ogni volta che ci penso, una rabbia cieca mi pervade, che rischio di polverizzare quello che ho tra le mani come Wonder Woman. E stamattina avrei mandato in pezzi il mio latte d'avena con il muesli alla frutta (immaginate un frutto...nel mio muesli c'è!).
Ringrazio il capo della mia amica (esimio professore di un'università e di un ospedale che non si possono dire) per aver dato il giusto sprint alla mia giornata e avermi fatto pedalare fino al laboratorio senza neanche appoggiare il culo sulla sella.
La cosa che mi interesserebbe approfondire con questo povero vecchio accademico senza una vita sociale è la seguente: la medicina ha perso il suo prestigio e quindi è diventata accessibile alle donne, o le donne hanno rovinato la medicina in modo irreparabile? Siamo causa o conseguenza?
Immagino, conoscendo la tipologia di soggetto come le mie tasche, che nella sua personale visione noi povere segretarie siamo la conseguenza. Farci diventare la causa vorrebbe dire ammettere una certa capacità di azione da parte nostra (la cosa che più spaventa al mondo...l'azione).
Ogni tanto mi viene l'idea di andare sul letto di morte di tutti questi baluardi della scienza e sussurrargli all'orecchio "al tuo posto adesso c'è una donna", per vederli morire arrabbiati quanto sono stata arrabbiata io in questi anni.
Ma la vendetta non è l'obiettivo (me lo ripeto in modalità mantra per eliminare dalla mia fantasia le fiale di Guttalax nel caffè, le gomme della macchina tagliate o le uova spalmate sul parabrezza del motorino).
Per raddrizzare la giornata senza ridurre l'energia ci vuole qualcosa di buono, la visione anche solo di un piccolo passo per uscire dall'oscurità (in tutti i sensi, lasciatemelo dire).
E allora, appena arrivo al lavoro cerco il curriculum di un professore che si è detto interessato a una collaborazione. Pareva sincero nel propormi di fare quattro chiacchiere sul glicocalice (io non ho mai fatto quattro chiacchiere sul glicocalice con nessuno...forse solo perché nessuno me l'ha mai proposto).
Nel curriculum di questo finlandese dall'accento inglese un po' indecifrabile (immaginatevi che bei misunderstanding tra recettori, cellule e mediatori) c'è scritto che è un maschio e che ha quattro figli.
Solo nei curricula delle donne avevo visto dichiarato il numero di figli, prima. E non era certo per vantarsene. Era per mettere le mani avanti. Qualcuna dichiarava pure di avere dei genitori pronti a fare i nonni a tempo pieno; tanto per mettere nero su bianco che i figli non sarebbero stati un impedimento allo svolgimento del lavoro (e non stiamo parlando del posto fisso alla NASA per progettare missili da mandare su un pianeta dal nome sconosciuto).
Vedere che il signor Finlandese ha scritto che ha 4 figli mi è sembrato bello. Paritario. E mi è anche sembrato che il fatto di averne così tanti fosse per lui un vanto, non un handicap. Come a voler dichiarare di essere una persona realizzata anche fuori dall'ospedale.
Ha pure scritto di essere un maschio. Questo è peculiare.
Avrei due motivi da proporre come soluzione del rebus.
1. I nomi finlandesi non si capisce se sono maschili o femminili (lui si chiama Jyrki!!!).
2. Il finlandese è una lingua senza genere.
Non esiste lui e lei, bello o bella. Diciamo che in finlandese è tutto BELLUM (corrispettivo latino del neutro???), non importa se abbia le ovaie o i testicoli.
Ci sarà un motivo allora se la Finlandia è molto più avanti della Svezia nel percorso verso la parità di genere? Sarà perché nessuno si interessa di sapere se sei maschio o femmina quando si parla di te?
Intanto io aggiungo al mio curriculum che sono femmina (mica che non l'avessero capito!).
Vi rimando ad un sito molto molto bello...
Si parla di parità e lavoro e chi lo scrive ha molto talento ed esperienza.
Keep sharing ideas!
http://laboratoriodonnae.wordpress.com/2014/08/31/racconti-di-unaziendalista-femminista/
mercoledì 12 novembre 2014
La memoria dei migranti
Sono passati tantissimi giorni. Ma il tempo, anche al Nord,
si corrode al contatto con l'aria.
Sto pensando alla memoria. Non più a quella meraviglia
psicologica del picco di reminiscenza (vedi post dedicato). A una memoria più grande, una memoria
sociale.
Si raccoglie dentro ai gesti e alle parole e svela la nostra
provenienza.
Ho conosciuto poche persone che non potessero dichiarare con
certezza da dove venissero. Situazioni al limite, più uniche che rare. Madre e
padre di paesi diversi, fare la spola da qui a lì per i primi 30 anni di vita.
Oppure genitori diplomatici, che inseguono la carriera tra paesi mai sentiti
nominare nel Sud Est Asiatico.
Queste poche persone senza una vera provenienza sono diverse
da tutte le altre. Si comportano in modo unico, influenzato da ambienti troppo
diversi tra loro per lasciare il segno. Una babele serena, in cui tutto ha lo
stesso peso e mantiene la neutralità del territorio.
Le ho un po’ invidiate queste persone, prima di diventare un
migrante.
Sì, perché sono un migrante. Qualunque cosa ne dica chi
abusa della parola.
Ho cambiato paese per una ragione che non era un viaggio o
una vacanza. Quindi ho migrato (o sono migrata…io la vedo una cosa più attiva
che passiva, ma ognuno poi deciderà se migrare o essere migrato). Punto.
E mi sono accorta che la memoria è tutto il mio bagaglio.
Ogni cosa che ricorda la mia provenienza rappresenta quello
che ho, da offrire e da difendere.
Così come me migliaia di altri.
Mi sono chiesta se smetteremo mai di aver paura della
memoria degli altri.
Se avremo la decenza, prima o poi, di accettare che altri
portino con se altre storie, diverse dalle nostre, né più né meno
belle.
Sembra una cosa molto scontata, ma la memoria non ce la
siamo scelta.
Né quella socio-culturale (se vogliamo chiamarla in un modo
così brutto), né quella personale. Ci sono delle cose che ti rimangono stampate
in testa senza un motivo ben preciso, non hai selezionato le informazioni
all’ingresso del cervello. In quella macchina tritatutto che abbiamo in testa,
alcune cose scivolano e altre invece si appiccicano.
Chi lo sa perché mi ricordo quel giorno di novembre
dell’anno scorso in cui ho comprato due cavoli al mercato e faccio fatica a
mettere a fuoco due immagini consecutive del giorno del mio ultimo compleanno.
La memoria non si sceglie. E non si scelgono neanche le “tare” (passatemi il
termine) culturali che ci porteremo appresso per sempre. Tipo cosa? Tipo
l’accento bergamasco che esce anche in inglese se ci si arrabbia. Tipo la
camminata da montanari incazzati. Tipo l’amore incondizionato per le torte
salate. Tipo la necessità di avere musica intorno. Tutto è derivato dal posto e
dalle persone con cui ho vissuto.
Nessuna di queste cose l’ho scelta. E lei, la memoria, non censura
niente. Prende, trita, impasta e inforna. Il prodotto finale può piacere o
meno, ma è più del 50% di me stessa.
E se qualcuno ci venisse a dire che essere italiani (o svedesi, o siriani...) non può
essere motivo di orgoglio, perché non se ne ha il merito? Se ci dicessero la cosa più ovvia del mondo, cioè che il posto in cui siamo nati è il risultato del più puro caso?
Ecco, ve lo sto dicendo.
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