A Uppsala alle sette di mattina non vola una mosca.
Niente clacson, niente urla.
Milano alle sette di mattina è già un casino. Mi vengono in
mente scene da guerra civile per un parcheggio, minacce di morte al semaforo,
dita medie alzate e sventolate come un vessillo. Un piccolo disastro quotidiano,
che si ripete, come uno spettacolo teatrale di successo, anche poco prima di
cena.
Lasciando perdere il fatto che a Uppsala ci sono un
ventesimo delle macchine che Milano contiene, il caos italiano non sembra
riproporsi, in terra scandinava, nemmeno nelle dovute proporzioni.
Silenzio, macchine elettriche che manco le senti arrivare,
ciclisti che sembrano ninja, passanti che non parlano al telefono se non
sottovoce.
Se uno si addormenta a un semaforo, la colonna di macchine
non fa una piega e prima di dare una piccola, innocente e rapidissima toccatina
al clacson passano per lo meno tre minuti. Centottanta secondi! Sono
un’eternità alle sette di mattina! Sono il tempo che ci metto a vestirmi e truccarmi!
La flemma da quasi sui nervi.
Mi chiedevo come potessero essere così sereni, sempre.
La spiegazione mi è arrivata qualche giorno fa. Da uno
svedese. Gli chiedo perché non abbassano il finestrino e urlano il corrispettivo
di: “Li mortacci tua!!” uppsalese. La risposta è: noi mettiamo il pugno
in tasca. Chiudiamo il pugno e lo mettiamo via. Mettiamo via la nostra rabbia.
La prima reazione è: che bravi! Ma dopo 5 minuti che
ci penso, dico ad voce alta: ma non fa per niente bene!
Mettere via i pugni chiusi non è salutare. Nonostante non
l’abbia mai fatto (la mia rabbia è sempre ben visibile e se anche non lo fosse
per l’oggetto della stessa, lo sarà per il bagno in cui andrò a emettere un
urlo alla tarzan o per la porta che sbatterò a cento all’ora), credo che
tenersi la rabbia di un’intera giornata, sia come portare in giro un macigno.
Figuriamoci quella di una vita intera! Perché non è che poi gli svedesi vadano
a tirare di boxe per sfogarsi eh!
Continuano a mettersi in tasca i pugni, come dei sassolini
raccolti per strada.
Mi chiedevo quanto questo ha a che fare con i problemi
sociali che il governo svedese sta affrontando in modo eccellente da molti
anni. L’alcolismo, il tasso di suicidi e la violenza sulle donne. Sì perché i
numeri sulla violenza in Svezia sono sovrapponibili a quelli di tutto il resto
d’Europa.
Non molte settimane fa l’Internazionale pubblicava una mappa
del tasso di suicidi nel mondo. A parte le insospettabili India e Australia con
un tasso altissimo, la cosa che mi ha stupito è stato vedere che la Svezia ha
un tasso di suicidi più alto del resto della Scandinavia.
Mi sono chiesta perché. Qui è tutto perfetto. Intendo dire
che la gente vive bene, con una minuscola fetta di popolazione in stato
d’indigenza e che comunque viene accudita da Mamma Svezia in modo ineccepibile.
L’azienda per cui lavori ti paga la palestra, se hai figli vieni letteralmente
coperto d’oro, le vacanze sono un diritto talmente sacrosanto che ne hanno il
doppio rispetto a quelle di noi poveri europei del sud e le “cose da fare”,
soprattutto per gli autoctoni e soprattutto dopo i trenta sono talmente tante
che c’è l’imbarazzo della scelta.
State pensando al clima, giusto? Io alla faccenda del clima
ci credo fino a un certo punto. Certo, l’inverno qui dev’essere duro e lungo.
Quando ci arrivo poi ve lo racconto. Ma anche la Finlandia e la Norvegia
passano attraverso il buio, ogni anno. Però si suicidano di meno.
E se fossero i pugni in tasca?
E se fosse rabbia repressa che lentamente corrode gli argini
e straripa?
A proposito di violenza sulle donne i numeri fanno
abbastanza schifo per essere quelli di un paese il cui governo è suddiviso
esattamente a metà tra i due generi.
La famosa trilogia di Stieg Larsson metteva i puntini sulla
questione, con numeri alla mano. Ho controllato. Sono i nostri stessi identici
numeri.
A me i numeri piacciono, soprattutto quando dentro ci vedo
un significato. E questi numeri fanno venire voglia di trovare un perché.
Sarà che la scena che mi passa nella testa ogni volta che ci penso non mi dà pace. Lei, amministratore delegato della Volvo (o
dell’Ikea, se vi piace di più) che torna a casa dopo un’importante riunione con
i vertici della filiale giapponese e viene presa a pugni dal marito, Professore associato all'Università. Questa
scena faccio fatica a mandarla giù. Perché ho sempre creduto che l’educazione e
la cultura fossero sinonimo di dirittura morale. Sbagliato! Più che sbagliato!
Pare che questi pugni in tasca ogni tanto, gli svedesi, li
tirino fuori e pare che come da copione dall’alba dei tempi, li agitino dove è
facile farlo: a casa loro.
Niente di diverso da quello che succede a casa nostra. Quasi
quasi, per una volta, concedo al mio vergognoso paese un’attenuante. Meno
cultura e più povertà. Ma non c’è da andarci troppo a testa alta.
Chi ha intenzione di creare un business e ha voglia di
viaggiare potrebbe venire qui e inventarsi un corso di canalizzazione della rabbia. Titolo: “Fuori i pugni dalle tasche!”. La foresta sarebbe un posto
ideale come location. Si può urlare quanto si vuole e per sedare il fiume di
odio c’è sempre qualche lago ghiacciato nelle vicinanze.
p.s. Il post è un po’ tetro, mi rendo conto. Non sono ancora
stata inhiottita dallo spirito gotico del posto, ho semplicemente pensato a
questo in questi ultimi giorni. Prometto un post sui cavallini di legno
decorati per farmi perdonare… J
Che piacere "leggerti"!!!
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