domenica 28 settembre 2014

I pugni in tasca


A Uppsala alle sette di mattina non vola una mosca.
Niente clacson, niente urla.
Milano alle sette di mattina è già un casino. Mi vengono in mente scene da guerra civile per un parcheggio, minacce di morte al semaforo, dita medie alzate e sventolate come un vessillo. Un piccolo disastro quotidiano, che si ripete, come uno spettacolo teatrale di successo, anche poco prima di cena.
Lasciando perdere il fatto che a Uppsala ci sono un ventesimo delle macchine che Milano contiene, il caos italiano non sembra riproporsi, in terra scandinava, nemmeno nelle dovute proporzioni.
Silenzio, macchine elettriche che manco le senti arrivare, ciclisti che sembrano ninja, passanti che non parlano al telefono se non sottovoce.
Se uno si addormenta a un semaforo, la colonna di macchine non fa una piega e prima di dare una piccola, innocente e rapidissima toccatina al clacson passano per lo meno tre minuti. Centottanta secondi! Sono un’eternità alle sette di mattina! Sono il tempo che ci metto a vestirmi e truccarmi!
La flemma da quasi sui nervi.
Mi chiedevo come potessero essere così sereni, sempre.
La spiegazione mi è arrivata qualche giorno fa. Da uno svedese. Gli chiedo perché non abbassano il finestrino e urlano il corrispettivo di: “Li mortacci tua!!” uppsalese. La risposta è: noi mettiamo il pugno in tasca. Chiudiamo il pugno e lo mettiamo via. Mettiamo via la nostra rabbia.
La prima reazione è: che bravi! Ma dopo 5 minuti che ci penso, dico ad voce alta: ma non fa per niente bene!
Mettere via i pugni chiusi non è salutare. Nonostante non l’abbia mai fatto (la mia rabbia è sempre ben visibile e se anche non lo fosse per l’oggetto della stessa, lo sarà per il bagno in cui andrò a emettere un urlo alla tarzan o per la porta che sbatterò a cento all’ora), credo che tenersi la rabbia di un’intera giornata, sia come portare in giro un macigno. Figuriamoci quella di una vita intera! Perché non è che poi gli svedesi vadano a tirare di boxe per sfogarsi eh!
Continuano a mettersi in tasca i pugni, come dei sassolini raccolti per strada.

Mi chiedevo quanto questo ha a che fare con i problemi sociali che il governo svedese sta affrontando in modo eccellente da molti anni. L’alcolismo, il tasso di suicidi e la violenza sulle donne. Sì perché i numeri sulla violenza in Svezia sono sovrapponibili a quelli di tutto il resto d’Europa.
Non molte settimane fa l’Internazionale pubblicava una mappa del tasso di suicidi nel mondo. A parte le insospettabili India e Australia con un tasso altissimo, la cosa che mi ha stupito è stato vedere che la Svezia ha un tasso di suicidi più alto del resto della Scandinavia.
Mi sono chiesta perché. Qui è tutto perfetto. Intendo dire che la gente vive bene, con una minuscola fetta di popolazione in stato d’indigenza e che comunque viene accudita da Mamma Svezia in modo ineccepibile. L’azienda per cui lavori ti paga la palestra, se hai figli vieni letteralmente coperto d’oro, le vacanze sono un diritto talmente sacrosanto che ne hanno il doppio rispetto a quelle di noi poveri europei del sud e le “cose da fare”, soprattutto per gli autoctoni e soprattutto dopo i trenta sono talmente tante che c’è l’imbarazzo della scelta.
State pensando al clima, giusto? Io alla faccenda del clima ci credo fino a un certo punto. Certo, l’inverno qui dev’essere duro e lungo. Quando ci arrivo poi ve lo racconto. Ma anche la Finlandia e la Norvegia passano attraverso il buio, ogni anno. Però si suicidano di meno.
E se fossero i pugni in tasca?
E se fosse rabbia repressa che lentamente corrode gli argini e straripa?

A proposito di violenza sulle donne i numeri fanno abbastanza schifo per essere quelli di un paese il cui governo è suddiviso esattamente a metà tra i due generi.
La famosa trilogia di Stieg Larsson metteva i puntini sulla questione, con numeri alla mano. Ho controllato. Sono i nostri stessi identici numeri.
A me i numeri piacciono, soprattutto quando dentro ci vedo un significato. E questi numeri fanno venire voglia di trovare un perché.
Sarà che la scena che mi passa nella testa ogni volta che ci penso non mi dà pace. Lei, amministratore delegato della Volvo (o dell’Ikea, se vi piace di più) che torna a casa dopo un’importante riunione con i vertici della filiale giapponese e viene presa a pugni dal marito, Professore associato all'Università. Questa scena faccio fatica a mandarla giù. Perché ho sempre creduto che l’educazione e la cultura fossero sinonimo di dirittura morale. Sbagliato! Più che sbagliato!
Pare che questi pugni in tasca ogni tanto, gli svedesi, li tirino fuori e pare che come da copione dall’alba dei tempi, li agitino dove è facile farlo: a casa loro.

Niente di diverso da quello che succede a casa nostra. Quasi quasi, per una volta, concedo al mio vergognoso paese un’attenuante. Meno cultura e più povertà. Ma non c’è da andarci troppo a testa alta.

Chi ha intenzione di creare un business e ha voglia di viaggiare potrebbe venire qui e inventarsi un corso di canalizzazione della rabbia. Titolo: “Fuori i pugni dalle tasche!”. La foresta sarebbe un posto ideale come location. Si può urlare quanto si vuole e per sedare il fiume di odio c’è sempre qualche lago ghiacciato nelle vicinanze.


p.s. Il post è un po’ tetro, mi rendo conto. Non sono ancora stata inhiottita dallo spirito gotico del posto, ho semplicemente pensato a questo in questi ultimi giorni. Prometto un post sui cavallini di legno decorati per farmi perdonare… J

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