sabato 13 giugno 2015

Mosche bianche

Appena tornata da una partita (da spettatrice) di Roller Derby e ancora frastornata da questo momento di sport vero, sincero e femminile al cento per cento, ritorno a questa paginetta.
Quello che mi ha spinta sono state le parole del premio Nobel Tim Hunt che continuano a ronzarmi in testa, insieme a tutto quello che è successo nella mia mente subito dopo aver letto la notizia.
Per chi non avesse letto i giornali negli ultimi giorni, un premio Nobel in fisiologia e medicina, tale Tim Hunt appunto, che ha scoperto le proteine implicate nel processo di duplicazione cellulare, l'ha sparata grossa.
A quanto si dice avrebbe affermato che le donne che lavorano nella ricerca, a me piace chiamarle scienziate, dovrebbero lavorare in posti separati dai maschi che fanno lo stesso mestiere. Il signor Hunt pensa che le donne siano una distrazione sessuale e romantica dannosa per la concentrazione dei colleghi. E pare che si sia spinto oltre, affermando che il problema con le ricercatrici è che queste piangono quando il loro lavoro viene messo in discussione.
Da questa affermazione è partita una piccola campagna sociale con fotografie postate su Facebook e Twitter che ritraggono ricercatrici intente a fare il proprio lavoro negli outfit più disparati (dalle mute da sub ai camici bianchi) con l'hashtag "distractinglysexy".
Lord Hunt ha dato le dimissioni dalla cattedra, dopo la boutade, senza mai rimangiarsi le brutalità che ha detto, né scusarsi per la sua chiusura mentale.
Questa la storia.

La reazione è avvenuta per gradi. La prima fase è stata, ovviamente, quella del disgusto.
Poi ho sentito il mio solito "bisogno di agire" e allora ho postato la mia bella foto con il mio nell'hashtag (che trovo la cosa più inutile del mondo a parte in queste poche occasioni sociali...e la parola sociale non è qui intesa nell'accezione che si usa per identificare alcuni network!).
Dopo qualche ora, a rabbia sbollita, ho parlato con le mie colleghe. Ci siamo indignate insieme e mi sono sentita un po' meglio. Così come mi aveva rasserenato quel mare di fotografie, di professioniste che si prendono sul serio, ma con un'ironia invincibile sanno cosa rispondere a un vecchio trombone che piscia senza ritegno fuori dal vaso.
Un po' più serena, vado a parlare con un mio collega (uno a cui voglio bene e che reputo intelligente e brillante) della sua ricerca e mentre cerchiamo di capire come normalizzare un parametro impossibile, inizio a raccontargli della notizia, che lui non aveva letto.
Quando, con la mia faccia rilassata, gli ripeto le parole del premio Nobel, lui mi dice con molta semplicità: "Beh, è la verità! Non sai quante donne ho visto piangere sul lavoro!"
La verità. Così dice.
Io mi risveglio dal mio sogno di gloria in cui, per una volta, un cretino ha parlato ed è stato rimesso al suo posto a dovere, e salto su come un grillo. "Pensi che io sia così? Che io piangerei se venissi a dirmi che i miei risultati fanno schifo?"
"Ma tu sei una mosca bianca."
Posso dire, allora, di aver conosciuto solo mosche bianche.
A quanto pare le mosche bianche in questa storia, sono più di quelle nere.
A me non è mai successo, di vedere una collega piangere perché qualcuno le diceva che il suo lavoro non era perfetto. Mai.
Non le ho viste piangere nemmeno quando non era il lavoro ad essere messo sotto la lente d'ingrandimento, ma loro stesse.
Posso dire che ho sentito con queste orecchie tante volte dire alle mie colleghe e anche a me stessa: TU non vai bene. TU sei troppo poco aggressiva. E' il TUO atteggiamento che è sbagliato. TU non ti impegni. Raramente l'ho sentito dire a uomini.
Ma le mie colleghe non hanno pianto comunque. E se lo hanno fatto dopo, in bagno, in macchina, a casa loro, hanno fatto bene, perché fa piangere essere giudicati come persone, nella nostra interezza, quando quello che non va bene è una lettera di dimissioni o un report mensile.
E così, finito il meeting di statistica, me ne sono tornata meditabonda davanti al mio computer.

Ho avuto bisogno di un paio di amiche con cui parlarne. Mi hanno fatto ragionare su una cosa ancora più importante. Tralasciando il commento sulla distrazione sessuale, da represso vittoriano in terapia col bromuro, ci siamo concentrate sulla questione lacrime.
Qual'è il problema del pianto? Piangere è una reazione umana, che, se motivata, esprime l'interessamento della persona per la questione in ballo, la sua preoccupazione e il dispiacere per non aver raggiunto un obiettivo.
Le donne piangono più degli uomini. Ammesso che questo sia vero (ho visto uomini piangere tanto da rischiare la deidradazione), è vero anche che la società lo prevede. Lo da per scontato.
Ma poi lo rinnega quando, sul lavoro, il pianto è segno di debolezza. Anzi, peggio, di non professionalità. La rabbia invece, espressa con urla alla Rocky Balboa e pugni sul muro, è un segno di forza, di dominanza.
Una mia amica mi ha fatto pensare a quel medico che è stato ripreso mentre piangeva disperato, fuori dal pronto soccorso, piegato in due dal dolore di aver perso un paziente.
Quell'uomo è diventato immediatamente una specie di eroe nazionale, un esempio di virtù, rappresentando l'umanità che manca a tanti medici (almeno secondo i giornali che hanno commentato il video). E io penso, se fosse stata una donna medico a piangere per aver perso un paziente, cosa avrebbe detto l'opinione pubblica? Cosa avrebbe detto il suo primario? E i suoi colleghi?
Non lo so. Ma sono quasi certa che non avremmo avuto un'eroina nazionale.
Quello che un po' mi dispiace è che i ricercatori da cui un pazzo ha cercato di separarci mettendo un muro in mezzo a tutti i laboratori del mondo, non hanno sentito il bisogno di di esprimere la loro indignazione per quelle parole. Le foto su Facebook e Twitter erano di donne sorridenti e, ai miei occhi, potenti e luccicanti, ma sole. Che bello sarebbe stato se anche i ricercatori uomini si fossero prestati per questa esilarante protesta, magari facendosi fotografare in lacrime. Allora sì, la mia testa avrebbe smesso di ronzare.
Invece niente, e niente anche quando al loro fianco è seduta una collega che li aiuta a non affogare tra tabelle excel e calcoli astronomici con un sorriso sulle labbra. Le parole di Hunt e i suoi peli che escono dal naso di un buon centimetro, continuano ad essere la Verità. Quella dei testi sacri, quella che prendi così per fede in qualcosa che non hai ne voglia ne tempo di capire, quella per i poveri, quella che non ha niente a che fare con la scienza.
Beh, caro collega, io spero, dal profondo del cuore, che sia una mosca bianca anche tu!