Sarò certamente diventata ipersensibile.
Una delle caratteristiche più salienti del posto in cui vivo (e che si scopre dopo qualche tempo di stretto contatto con la popolazione locale) è che bisogna continuamente censurarsi.
Le emozioni non hanno molto successo da queste parti. Le lamentele sono praticamente illegali. Figuriamoci le incazzature, le urla e gli schiamazzi a cui ero abituata nel Bel Paese.
Tutto in sordina. Le cose scivolano, una sull'altra. A tratti la tensione sembra crescere, sguardi di disapprovazione, gesti impercettibilmente più accentuati, un passo più spedito. Tutto si risolve in una bolla di sapone, sempre. Nessuno perde le staffe. Un'increspatura sulla superficie del mare piatto.
Sul lavoro, tutto sto zen, lo apprezzo. Ovvio che a volte vorrei urlare, ma abituarsi a chiedere quello di cui si ha bisogno (se serve anche con insistenza...insistenza tipicamente italiana che abbatterebbe qualunque muro di diniego svedese!) e soprattutto lavorare senza che Mister Fletcher di Whiplash ti urli gli improperi del Sergente di Full Metal Jacket è rilassante, fa volare via dodici ore senza una piega.
Al di fuori del lavoro il comportamento evitativo delle lamentele si trasforma in una malsana mancanza di sincerità. Se mi fai incazzare, come faccio a fartelo capire a suon di movimenti delle sopracciglia e di variazione del tono di voce dell'ordine dei microdecibel?
Io DEVO dire quello che penso.
E più lo faccio e più capisco che lo slalom intorno alle "cose che non fanno piacere a nessuno", non è uno sport solo svedese (o nordico). Mi trovo a dover giustificare sempre di più le mie opinioni, anzi no...non le mie opinioni (di quelle a nessuno, o quasi, importa nulla). Devo giustificare il fatto di averle.
Non è sempre stato così. Non perché una volta la gente veniva entusiasta a chiedermi cosa ne pensassi di questo e quello e poi stesse ad ascoltare per ore annuendo alle mie teorie dell'esistenza.
Proprio no. Ma è esistito un tempo in cui ero io a non entrare mai e poi mai in conflitto con nessuno.
Dire sempre sì, fare contenti tutti, se c'è quello che è di destra cercare di essere un po' meno di sinistra, se c'è quella che si mette la pelliccia cercare di dimenticare gli animali scuoiati e passarci sopra, se ci sono i cattolici farsi il segno della croce (che tanto male non fa). Perché lo facevo? Per piacere a tutti, logico. Per essere popolare, amata e soprattutto evitare il conflitto con chiunque.
Poi un giorno mi è stato detto che quello che facevo non era giusto. Che ero falsa, mentivo a tutti e a me stessa. Io, che avevo all'incirca 23 anni, ci ho pensato, ho elaborato la cosa e mi sono detta che era vero. Ero falsa, bugiarda, infingarda e malefica. Mi sono sentita tremendamente in colpa e ho fatto del mio meglio per cambiare.
Quando mi sono accorta che il dire ad alta voce un pensiero con un orientamento sociale/politico/religioso o areligioso, insomma schierato (e che quindi fa felice qualcuno e fa arrabbiare qualcun altro), non provocava la prematura e improvvisa morte di nessuno, la liberazione è stata tale che ho iniziato a sparare a raffica.
Avete presente il filtro del caffè? E' quello che mi manca tra cervello e bocca. Il flusso di coscienza continuo sgorga inarrestabile e lascia moltissimo scontenti e arrabbiati. Eppure io non posso più farne a meno.
La cosa che più mi stupisce e mi rende protesa verso il cucuzzolo di una montagna in una casa di legno con quattro capre e il maiale dell'espiazione, non sono le rispostacce delle persone che la pensano in modo diverso da me.
Quelle sono accettate, benvenute. Meglio se argomentate.
No. E' quella pioggia di: Rilassati! Stai serena! Mamma mia, come sei! Sei estrema! Hai rotto il cazzo! Sei acida! Sei frigida! Hai bisogno di cazzo! Ma non stai mai zitta? Ma non puoi pensare positivo? Che palle! Ma a te non piace niente?
Possiamo dire che sono "risposte di merda"?
Chi tenta di tappare la bocca a qualcun altro ha una ragione ben precisa, sempre.
E questa misteriosa ragione non sarà che parlare del fatto che Coca Cola e Nestlè siano gli sponsor di Expo o del fatto che utilizzare la parola "puttana" è, di per se, in ogni contesto, un atto di maschilismo, allontana la gente (e mi dispiace di utilizzare un termine così generale ma fare nomi e cognomi sarebbe poco cortese) che vuole "pensare positivo".
E permettersi di dire che l'atteggiamento di un collega, di un capo, di un compagno di corso di nuoto o di un amico di scampagnate domenicali è razzista/sessista/antisociale/semplicemente disonesto o scorretto, quando l'atteggiamento non ci tocca personalmente, mette tutti di fronte a qualcosa che si stava tranquillamente facendo finta di non vedere.
Inalberarsi quando qualcuno ci fa qualcosa, a noi personalmente, è sacrosanto!
Saranno tutti con voi quando vi lamenterete che i ladri vi hanno rubato l'argenteria, che uno passando col rosso vi ha quasi travolti, che il vostro capo al lavoro vi tratta male, che i vostri colleghi vi rubano la merenda, che la cassiera al supermercato si è dimenticata di sorridervi. Tutti insieme in un solo grido: che stronzi, che bastardi, pezzi di merda! Gli altri. Quelli che vi hanno fatto del male.
Su questo punto devo dare atto ai nordici. Loro, nella loro ineffabile e a tratti inutile coerenza, censurano tutte le emozioni (negative e positive, generali e sociali).
Noi del Sud invece no.
Provate a puntare il dito su un atteggiamento generale, provate a difendere una categoria a cui non appartenete, a dire che questo o quello sono atteggiamenti, contenuti televisivi, pubblicità che non vanno bene. Potete argomentare la cosa come vi pare. Non fa nessuna differenza. Nessuno vi risponderà argomentando un'opinione contraria, semplicemente vi diranno che siete noiosi, rompi scatole e che avete bisogno di una vacanza.
Sorvolo sulla probabilità che le "risposte di merda" vertano sulla frequenza con cui fate sesso o sulla elasticità delle vostre parti intime se siete una donna. Credo che sia inutile stare anche solo a discuterne.
Insomma, dire quello che si pensa è sinonimo di impopolarità. La santa inquisizione dei rilassati verrà a prendervi a costo di stanarvi nelle case in montagna che avete deciso di occupare per allontanarvi da tanto qualunquismo, nell'attesa di nuovo ordine generale. Non ne uscirete vivi. Vi faranno a pezzi a suon di lati positivi e barzellette sporche.
Dopo questo polpettone vomitato in uno stato di necessità (oggi va così!), vi scrivo quali sono le regole per un infallibile successo in quest'era di rapporti umani a singhiozzi (ci ho messo anni a elaborarle, quindi per favore apprezzate almeno la dedizione).
1. Sorridi più che puoi, soprattutto a chi non è del tuo stesso sesso;
2. Quando non capisci qualcosa, sorridi lo stesso;
3. Se qualcuno ti chiede un opinione, sii il più vago possibile;
4. Quando parli male di qualcuno assicurati che lui e i suoi amici siano a debita distanza;
5. Se ti capitasse di notare un comportamento scorretto, chiudi gli occhi e conta fino a dieci, quando li riaprirai sarà tutto finito!
Ecco.
La smetto di farvi la predica citando un'amica con una delle sue migliori massime: mai fidarsi delle acque chete!